Anonymous e WikiLeaks due diverse declinazioni web del concetto di libera circolazione di informazioni e idee. Due paradigmi diversi, certo, ma che nessuno avrebbe definito contrapposti. È davvero così? Spostiamo per un attimo la prospettiva. Dal punto di vista delle agenzie di intelligence, infatti, una rottura tra Assange i gli hacker più famosi del Web sarebbe salutata con grande apprezzamento.
Quali sono gli eventi che avrebbero portato al divorzio? Wikileaks.org inserisce una pagina di pubblicità, volta a una raccolta fondi, che impedisce agli utenti di accedere direttamente ad alcuni documenti. Il video chiede al visitatore una donazione per la sopravvivenza del progetto Wikileaks. E se l’utente decide di non pagare? Ha due alternative, anzi tre: condividere sui social media la pagina oppure anche solo aspettare un po’ di tempo. I più smaliziati, infine, possono disabilitare la funzione Javascript accedendo subito ai contenuti.
L’introduzione di questa sorta di paywall ha fomentato l’irritazione di alcuni esponenti di Anonymous. A rendere la restrizione ancora più sgradita sta il fatto che i documenti protetti sono i cosiddetti GiFiles, ossia quell’insieme di email e materiali riservati all’azienda di intelligence Stratfor proprio da un gruppo di anonimi. Di più. Per quell’azione l’anon Jeremy Hammond, ex-leader di Anonymous, rischia fino a 20 anni di carcere.
Esponenti e gruppi di Anonymous hanno subito mostrato il loro biasimo. A quel punto Wikileaks ha avuto un atteggiamento ambiguo, prima togliendo il paywall e poi rimettendolo. Reazione degli anonimi? Pubblicazione online di alcuni documenti dai toni molto accesi. Questa l’accusa, piuttosto ruvida: “l’intenzione ovvia è di forzare donazioni in cambio dell’accesso. E questa è un’azione del tutto immorale, sporca e indecente – e Anonymous è adirata”.
Così continua il documento: “finora non c’è nessuno di WikiLeaks che sia incarcerato o accusato. Invece Anonymous ha 14 persone accusate (che rischiano 15 anni) per le proteste online per difendere WikiLeaks e una (Jeremy Hammond) in prigione che rischia fino a 20 anni”. In conclusione, Anonymous afferma che non attaccherà mai Wikileaks, ma non può più sostenerla.
Assange difende la sua linea del paywall, ricordando che Wikileaks sta fronteggiando serie sfide e difficoltà di ogni tipo e riprende gli attivisti: “la questione che Anonymous deve chiedersi è se vuole essere una mera gang (“Aspettateci”) o un movimento di solidarietà”. Qui entra in gioco Wired.it, che ha voluto un commento alle dichiarazioni di Assange da parte di un operatore di Rete anglofono del network di Anonops:
“Molti anonimi sono centrati sui loro ideali, e quando sentono che sono violati reagiscono duramente”, ci spiega. “Tuttavia io non vedo nessuna guerra tra Anonymous e WikiLeaks. Dal punto di vista di Assange, capisco che lui possa sentirsi abbandonato o senza solidarietà. Tra l’altro il fatto che sia isolato e nelle condizioni in cui sappiamo, non rende nemmeno semplice comunicare con lui, parlarsi insomma, e questo porta più facilmente a dei fraintendimenti. Ci sono sicuramente ancora molti che lo sostengono; altri che invece sentono che ha fatto il suo tempo e vorrebbero andare avanti. Certo, il fatto che ceni con Lady Gaga o cose simili non aiuta”.
Allora, guerra o acceso dibattito? Come risposta vi lasciamo l’ambigua interpretazione riportata sull’account Twitter @anonymousIRC: “Non c’è nessuna guerra e condanniamo di sicuro qualsiasi operazione contro WikiLeaks. Speriamo solo che ritrovino la giusta strada”.