Le accuse vengono rispedite al mittente, ma gli attacchi ai media statunitensi continuano. Dopo il caso del New York Post, che abbiamo già trattato in un nostro precedente articolo, ora gli hacker orientali prendono di mira il Washington Post. Ma nel novero delle vittime dobbiamo contare il Wall Street Journal, CNN e Twitter.
A tirare le somme è il governo USA, che punta l’indice contro Pechino. A sua volta, dalle pagine del Quotidiano del Popolo, il Partito comunista cinese si è dichiarato estraneo da ogni potenziale coinvolgimento con i fatti in oggetto. Una linea da interpretare in assoluto accordo con quanto espresso dal Ministero cinese della Difesa: “anche chi ha poca dimestichezza con internet sa che i cyber-attack sono transnazionali e anonimi. L’indirizzo IP non basta a confermare la provenienza dei pirati. […] È poco professionale oltre che infondato sostenere che la responsabilità sia dell’esercito cinese senza avere alcuna prova”.
Ma le prove ci sono oppure no? Secondo gli analisti del governo americano non ci sarebbero dubbi, gli attacchi provengono dalla Cina, anzi, da ambienti vicini ai vertici dell’Amministrazione governativa di Pechino. Secondo James Lewis, responsabile di sicurezza informativa al Centro studi strategici e internazionali, “il coinvolgimento di Pechino è evidente”. Al momento comunque nessun dato ufficiale è stato rilasciato.
Dal punto di vista statunitense, l’attacco ai media sarebbe il frutto di una strategia volta al controllo dell’informazione da parte della Cina. Confermerebbe questa deduzione l’attacco subito venerdì da Twitter, nel quale sarebbero stati violati di 25 mila account: “E’ stata un’operazione altamente sofisticata. Non è roba da dilettanti e non crediamo che sia un caso isolato, ma verranno colpite altre istituzioni e aziende”.
Ma se Pechino è attiva nel fronte del hacking, gli USA non sono da meno. Il Pentagono ha infatti deciso di destinare 4.900 i militari impegnati nel Cyber Command. Le prime denunce contro gli attacchi cinesi sono giunte nel 2010 a opera di Google. Uno scenario politico ed economico talmente grande da far sospettare che la questione della libertà venga spesso strumentalizzata.