Google ha violato i diritti d’autore di Oracle, o meglio del componente Java nominato RangeCheck. Ma la vicenda potrebbe chiudersi con un nulla di fatto. La giuria ha infatti accertato che l’infrazione della legge da parte di Mountain View è avvenuta in modo non intenzionale. Causa del malinteso la scarsa trasparenza della stessa Oracle che non avrebbe esplicitato l’obbligo inderogabile del pagamento delle licenze Java.
Nodo del contendere 9 righe di codice che Google avrebbe apparentemente copiato. Violazione del copyright il cui peso va letto alla luce delle 15 milioni di righe che formano nel loro complesso il programma. Ragione che ha spinto il giudice Alsurp a respingere la richiesta di Oracle riguardo ai rimborsi calcolati in percentuale sui profitti provenienti dalla violazione.
Nella prima fase del dibattimento Oracle aveva richiesto un risarcimento di 7,4 miliari, poi ridotti a 2,6 miliardi. Ma secondo le stime del Wall Street Journal, soppesando gli ultimi risvolti giuridici, l’indennizzo massimo sarebbe di 100.000 dollari. Briciole per un processo durato due anni. E intanto Google ne chiede l’annullamento. Una sentenza parziale potrebbe essere interpretata come un errore giudiziario.
La giuria non ha riconosciuto, in modo unanime, il “fair use” da parte di Google. Resta ancora in sospeso, inoltre, la decisione sulla protezione (o meno) delle API Java di Oracle. Nel Vecchio Continente la questione è stata risolta dall’Alta Corte Europea che ha negato il riconoscimento. Sui possibili sviluppi della vicenda le posizioni si radicalizzano. E i portavoce delle due aziende insistono sui sui soli particolari utili alla tutela dei loro clienti.
Il fronte più gravido di potenziali conseguenze sullo sviluppo software sembra quello delle API. Cosa accadrebbe se il giudice Alsup istituisse un precedente sul diritto d’autore per il componente Java?